“La sintesi dei primi 3 anni di questa legislatura mette in luce quanto la questione dell’accaparramento dello spazio terrestre, marino e anche atmosferico sia stato il campo di contesa politico-economico che ha portato alla caduta del governo Conte 2”. Lo dichiara la senatrice Virgina La Mura del gruppo Misto, che aggiunge: “La legge sul consumo del suolo è stata congelata in commissione Ambiente al Senato, strumento potentissimo che avrebbe dovuto regolamentare l’utilizzo dello spazio entro il quale svolgere le attività umane, sia economiche che sociali, senza danneggiare ulteriormente la biodiversità e l’agricoltura. Sospese altresì la legge Salvamare per la regolamentazione della raccolta accidentale dei rifiuti marini da parte dei pescatori durante le operazioni di pesca (i rifiuti marini hanno ricoperto i fondali con conseguente perdita di vita marina e stock ittici), la legge sull’acqua, la legge sull’agricoltura biologica e biodinamica. Sospesi nei Ministeri il decreto fanghi, non dimentichiamo che con un emendamento al decreto Genova abbiamo consentito di spandere sui terreni agricoli i fanghi industriali, il decreto sul dissesto idrogeologico, la legge Terra Mia. Al contempo, siamo stati veloci nel distruggere pezzo per pezzo leggi troppo ingombranti per gli inquinatori, una tra tutte, la Valutazione di Impatto Ambientale e la consultazione pubblica degli enti locali e dei cittadini per la realizzazione di opere molto dannose per l’ambiente, ma l’obiettivo è di eliminarla del tutto. Quando parliamo di biodiversità dovremmo anche ricordarci che i nostri boschi e foreste sono oggetto di predazione da parte dell’industria energetica e la fauna selvatica, importantissima per il mantenimento degli ecosistemi, è fortemente minacciata come anche le nostre spiagge e il mare con la sua vita sottomarina. Abbiamo solo spostato più avanti di altri 6 mesi il tema delle trivellazioni e la realizzazione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale (PITESAI). Proroghiamo ancora di 6 mesi il Piano per l’individuazione dei siti per la costruzione dei depositi dei rifiuti nucleari (CNAPI), e nel piano prevediamo anche la costruzione di un centro per la ricerca nucleare, perché?
Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) che serve per la realizzazione della transizione energetica sostenibile, a seguito della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e la conseguente consultazione pubblica, ha messo in luce la mancanza di un Piano di individuazione delle aree idonee, sia regionale che nazionale, per l’installazione dei pannelli fotovoltaici, pale eoliche, e altri impianti per la produzione di energia rinnovabile. La soluzione? Nel decreto Semplificazioni dell’agosto scorso è stata introdotta una norma grazie alla quale sarà un DPCM a indicare l’elenco di aree “non” idonee alla realizzazione delle infrastrutture per la transizione energetica e non un piano. Allo stesso tempo è in forte ritardo (dunque a rischio di infrazione europea) il Piano di utilizzo dello spazio marittimo che dovrebbe individuare in Italia entro il 2021 e nei mari europei entro il 2022, le modalità per far coesistere le attività di pesca, le installazioni di campi eolici e fotovoltaici, il turismo, il trasporto marittimo con, ad esempio, il ripristino degli ecosistemi e della biodiversità, così come per la terra ferma. Ovviamente in questo elenco con possiamo dimenticare le ecomafie, le procedure di infrazione per le emissioni in atmosfera, gli scarichi illeciti di acque reflue e i rifiuti, e da qui l’economia circolare che oscilla tra la produzione energetica che brucia rifiuti di tutti i tipi, anche i fanghi della depurazione, intossicando la nostra aria, e la produzione di nuovi materiali prodotti dagli scarti. Avete mai indossato un paio di scarpe o una borsa di pelle di mela o di cactus? Io si, prodotti da artigiani italiani che sopravvivono tra mille stenti!
Il tema ambientale langue da decenni e so bene quanto abbiamo combattuto per scardinare le resistenze dei poteri economici. Il Ministero dell’Ambiente dovrebbe essere terzo rispetto agli altri ministeri perché esprime valutazioni di impatto delle opere e delle attività umane che inevitabilmente impattano sugli ecosistemi naturali e sulla biodiversità e al contempo promuove e finanzia ciò che in Italia c’è di sostenibile, vedi anche le ZEA che tentano di portare una boccata di ossigeno nelle aree protette. Ma se le attività più dannose, come la produzione di energia, sono inglobate nel Ministero dell’Ambiente, la tutela dell’ambiente soccomberà perché il controllore e il controllato saranno costituiti dallo stesso ente e questo ci riporta alla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e alla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) ovvero ai “piani delle aree idonee alla transizione” e dunque al Recovery Plan.
Confindustria, attraverso il suo giornale, sta sottolineando spesso come la Commissione VIA, fondamentale in quanto l’UE obbligherà a standard di controlli per l’ammissione dei progetti del Recovery e in quanto molto passerà per le infrastrutture, sia lenta ad esaminare i progetti (650 ancora in sospeso), e questo è un problema perché i progetti del Recovery devono riguardare opere completabili entro il 2026. Si attribuiscono colpe ai procedimenti di VIA, mentre è la qualità dei progetti presentati ad essere scarsa, per cui la commissione VIA deve fungere da soccorso istruttorio in quanto spesso manca la documentazione prevista dalla normativa; in tal caso il problema riguarderebbe il fatto che viene consentito a tali progetti di accedere alla verifica di commissione, seppur carenti. Inoltre, viene segnalata carenza di supporto tecnico (fornito dall’ISPRA). Sul valore della partecipazione nei processi decisionali, anche nel PNRR le autorità regionali e locali possono essere partner importanti nell’attuazione delle riforme e degli investimenti. A tale riguardo, esse dovrebbero essere adeguatamente consultate e coinvolte. Il Piano dovrebbe contenere una sintesi del processo di consultazione, condotto conformemente al quadro giuridico nazionale, delle autorità locali e regionali, delle parti sociali, delle organizzazioni della società civile, delle organizzazioni giovanili e di altri portatori di interessi e il modo in cui il Piano per la ripresa e la resilienza tiene conto dei contributi dei portatori di interessi. Semplificare non può significare togliere la parola ai cittadini ed eliminare il confronto costruttivo, altrimenti si sposta semplicemente il conflitto in sede giudiziaria.
Alcune associazioni lo hanno capito e sostengono che la commissione VIA debba essere più rigida nel rigettare i progetti (solo il 10% attualmente viene respinto) e nel fatto che non deve andare incontro ai progetti manchevoli aiutandoli a supplire alle carenze di documentazione. Confindustria ipotizza addirittura l’eliminazione del PNIEC, accusando il governo Conte di aver creato solo confusione, nonostante molti progetti del Recovery saranno afferibili proprio al PNIEC. Ma basta accedere al sito dell’Europa e verificare l’iter, elaboratissimo, per verificare il meccanismo per essere ammessi ai finanziamenti e scoprire che si fa riferimento al PNIEC e che le opere afferenti alla transizione verde devono rispettare il Green Deal e soprattutto che saranno emessi Bond Green con precisi criteri ambientali da rispettare, tanto è vero che nel primo pilastro del regolamento del fondo del Recovery, l’Europa ha tenuto a precisare che deve essere conservata la Natura. Questo implica la realizzazione di piani per l’individuazione di aree idonee che siano compatibili con tutte le attività umane e con la natura, quindi sottoposti a VAS. Non solo, tutti nascondono o ignorano del tutto che i progetti devono rispettare il principio “DO NOT SIGNIFICANT HARM” per il quale è stato predisposto uno specifico regolamento, anche in italiano. Cosa significa? Che le attività da finanziare devono essere compatibili con tutte le matrici ambientali e devono rispettare gli obiettivi per il clima, si va in pratica oltre la VIA, con principi più restrittivi. Non siamo più nel Far West, anche se rischiamo di ritornarci”.