A tre mesi di distanza dall’avvio della legislatura, il segretario del Psi ha proposto di regolamentare la rappresentanza di interessi – e in particolar modo i rapporti tra lobbisti e decisori pubblici – pure al Senato. “Ma questo progetto non è uguale a quello di Montecitorio, ci sono tre novità di rilievo”, ha commentato Nencini, che da tempo si spende per arrivare a una normativa in materia il più possibile organica: non a caso, ai tempi del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, fu il primo a rendere pubblica l’agenda dei suoi appuntamenti con i portatori di interesse e a volere nel codice degli appalti, poi varato nell’aprile 2016, una norma in tal senso (però ancora inattuata). Strumenti considerati non sostitutivi di una legge sul lobbying, che Nencini ha ripresentato a inizio di legislatura dopo aver depositato un’analoga proposta pure durante la precedente: “I tempi per una normativa esaustiva e completa sono maturi, anche se nel nostro Paese ci muoviamo dentro una logica per così dire un po’ troppo cattocomunista. C’è una parte dell’Italia considera ancora il denaro, come nel Medioevo, lo sterco del demonio. Ma ovviamente le relazioni tra decisori pubblici e rappresentanti di interessi si svolgono comunque. Pur non dandosene notizia”. Una disciplina resa oggi ancor più necessaria dalla fine del finanziamento pubblico ai partiti che ormai – due per mille a parte – si sostengono unicamente attraverso fondi privati: l’assenza di una legge sulla rappresentanza di interessi, in questo senso, rischierebbe ancor più di creare un cortocircuito mediatico-giudiziario con tutte le ripercussioni del caso: “Una ragione in più per avere una norma che renda chiare le relazioni tra il decisore pubblico e chi per professione rappresenta un interesse”.
Un regolamento anche per il Senato. La proposta di Nencini
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